don tonino bello

Fare memoria, ricorrendo alla profezia

“SUD EUROPA, MEDITERRANEO: IL VOLONTARIATO MERIDIONALE E LE SFIDE DELLA NUOVA SOLIDARIETA’”
di don Tonino Bello

Carissimi amici, vi chiedo in anticipo di perdonare la povertà del mio contributo e l’eccessiva schematizzazione concettuale di quanto sto per dire. Vi assicuro, in contraccambio che non pronuncerò nessuna parola che non sia profondamente interna alla mia esperienza.

Intendo comunicarvi, infatti, ciò che avverto come vescovo della strada, abituato, per temeramento o per missione, a coinvolgere la gente nell’avventura del volontariato, ma che oggi, di fronte alle nuove domande dei mondi, e di fronte ai repentini cambi della scena sociale, sente di dovere modulare i termini della proposta.

Ho parlato di scena e volgio mantenere la metafora. Sicchè mi rivolgerò al volontariato come protagonista sotto le luci della ribalta e gli affiderò un “pentalogo”. Cinque precetti.

Anzitutto, perchè comprenda che, essendo cambiato lo scenario, non può recitare come prima: è necessario, quindi, che prenda atto dei mutamenti avvenuti attorno a sé. In secondo luogo perchè comprenda la nuova parte che deve sostenere, e non ci sia confusione fra i ruoli nella sua “performance”. In terzo luogo, perchè sappia collocarsi sulle giuste posizioni per non girare a vuoto e creare sconcerto.

In quarto luogo, perchè si sappia rapportare con gli altri attori interagendo con essi per l’ottimizzazione del risultato scenico; e infine perchè si connoti di quelle caratterizzazioni particolari che lo preservino dal pericolo di far semplicemente comparsa. Scandirò quindi le cinque parti di questo intervento:

  1. BISOGNO DI RICOMPRENDERE
  2. BISOGNA RICOMPRENDERSI
  3. BISOGNA RICOLLOCARSI
  4. BISOGNA RICOLLEGARSI
  5. BISOGNA RICONNOTARSI.
  6. BISOGNA RICOMPRENDERE

Se è vero che il volontariato nasce sostanzialmente dall’amore, occorre dire che il più grande atto d’amore consiste nel conoscere le coordinate spazio temporali, peraltro sempre cangianti, su cui i poveri di oggi consumano il loro crepuscolo. Non è pensabile che io qui possa mettermi a descrivere lo scenario che si dispiega sotto i nostri occhi. Non finirei di raccontarlo e già sarebbe nuovamente cambiato, tale è la rapidità con cui accadono i mutamenti. Però posso indicare certe costanti che connotano questo cambiamento. Anzitutto la dilazione del tempo. Il tempo è divenuto un recipiente elastico che contiene un numero sempre più alto di fatti. Nell’arco di un anno se ne condensano più di quanti, prima, se ne concentrassero in un secolo. Non si fa in tempo a comprare una carta geografica, che bisogna subito cambiarla. Quando, fra otto anni, entreremo nel terzo millennio, forse avremo l’impressione di transitare in una nuova era geologica. Speriamo che non sia di glaciazione. Il 31 dicembre Ceronetti, sulla Stampa di Torino, descriveva questo trasmutare dell’ultima delle 4 cifre fino all’anno 2000 quando sarebbero comparsi tre zeri, e concludeva angosciato: “Speriamo che gli zeri siano tre e non quattro, e che non debba cioè azzerarsi anche il due!”. In secondo luogo la concentrazione dello spazio. Ha fatto tanta fortuna l’espressione “villaggio globale”, che non c’è più bisogno di indugiare su ulteriori riflessioni. Oggi, proprio come se stessimo in un villaggio, siamo messi al corrente in tempi reali di quello che accade nella zona più remota del mondo: anche se, molto spesso, la nostra inerzia non subisce scossoni. In terzo luogo, l’allungarsi della strada, che porta verso l’alto. Sembra paradossale, ma mentre il mondo si è rimpicciolito alle dimensioni di “Rio Bo” di Palazzeschi ( tre casettine dai tetti aguzzi..vi ricordate?), le vie all’interno del villaggio sono divenute lunghissime. Ci vuole una vita per andare a bussare alla porta del fratello e incontrarsi finalmente con lui. In quarto luogo, la presa d’atto dell’interdipendenza. Nel bene e nel male. Si va sempre più riconoscendo il legame che stringe in un’unica sorte gli uomini e i popoli tra di loro. Si afferra meglio di prima il riverbero positivo che la situazione felice degli altri può avere sulla propria vita, così come oggi si comprende, con maggior lucidità di ieri, che un sistema di violenza e di oppressione, sia pur lontano, scatena nefaste conseguenze a catena su tutti. Del resto i fenomeni della malavita organizzata, della diffuzione della droga e del commercio delle armi, non sono universalmente riconosciuti interdipendenti tra di loro, al punto da far giudicare ingenui i tentativi di combatterli con strategie diversificate?

In quinto luogo, il pendolarismo tra presa d’atto dell’interdipendenza e bisogno di rifugirasi nel piccolo.

Per cui, per un verso si innescano processi di internalizzazione a livello economico, culturale politico per un altro verso scoppiano preoccupanti fenomeni di chiusura nei sottomultipli di identità ampie. Ciò che sta accadendo in Italia con il fenomeno delle leghe, ciò che accade in tante parti dell’Europa con il rincrudirsi del razzismo, ciò che avviene nei paesi dell’Est col risogere dei nazionalismi latenti, demoni preversi che minacciano di far esplodere una miscela ad alto potenziale è molto sintomatico.

Ecco, allora. Lo scenario è cambiato. Bisogna ricomprenderlo e una volta per tutte. Occorre alienarsi all’effimero. Diversamente il volontariato rischierà di recitare a soggetto la sua parte con gli antichi criteri teatrali dell’unità di tempo, di luogo, d’azione, che oggi non reggono più, risultano sfasati rispetto ad appena dieci anni fa.

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