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C’era una volta. C’è ancora. Tavazza al tempo della Riforma del Terzo Settore

Al tempo della Riforma del Terzo settore, raccogliere il testimone del padre del volontariato significa ripartire dai suoi valori, e dalle sue strategie

Per raccontare l’appuntamento di sabato scorso, 5 maggio, Luciano Tavazza e il volontariato nel tempo della Riforma del Terzo settore, bisognerebbe cominciare da qui, dalla fine, ovvero dal dire subito come non si sia trattato di un Amarcord, di una rievocazione di qualcosa di andato, avvenuto.

Lo hanno detto in molti, in modi diversi, ognuno con la propria cifra; ma tra tutte le rassicurazioni, o auto-rassicurazioni, che non si stesse parlando solo al passato, una credo meriti di essere menzionata in modo particolare: il giovane Luca; impegnato a Roma nei suoi studi, ma anche nell’aiuto ai barboni e ai senza fissa dimora. Luca è qui.

Figlio di Paolo Romano, oggi presidente dell’Associazione Paideia e promotore di tante esperienze di accoglienza a Salerno, e a sua volta presente con la vibrante testimonianza di chi ha conosciuto Luciano Tavazza.

È Paolo che ci dice che “in Luca c’è un poco di Luciano, qualcosa che Luciano trasmise a lui, a suo tempo, ed ora passato a suo figlio”, quella faccia pulita di appena vent’anni, oggi presente nella mensa Caritas di via Marsala, dove si tiene l’incontro, e dove spesso torna a prestare il suo servizio volontario.

Ma, ora, andiamo con ordine.

LUCIANO TAVAZZA: PADRE DEL VOLONTARIATO.

Da molti sinteticamente indicato, anche questo sabato, come il “padre” del volontariato, nel senso della legge; ovvero colui che ha dato il più grande contributo affinché le istituzioni della Repubblica riconoscessero – e non istituissero, come sottolineiamo sempre ai giovani – “il valore sociale e la funzione svolta dal volontariato come espressione di partecipazione, solidarietà e pluralismo”, come cita l’art. 1 della Legge 266/91, la Legge quadro nazionale.

Facciamo bene a mettere in evidenza questo aspetto con gli studenti.

Ce ne rassicura, oggi, Peppino Cotturri, protagonista dell’inserimento del principio di sussidiarietà nella Carta costituzionale. Il senso della legge non fu, infatti, quello di regolare il volontariato, ma, al contrario, quello di regolare lo Stato rispetto ai cittadini impegnati in attività volontarie. Luciano Tavazza ce l’aveva ben presente e, per questo, non tentennò mai di fronte ai dubbi di chi temeva l’addomesticamento del volontariato come effetto della legge.

Un riconoscimento che travalicava, e travalica, l’importanza del semplice impegno volontario dei cittadini. Il volontariato, con la L. 266/91, viene infatti a realizzare alcuni fondamentali principi della Costituzione e, tra tutti, l’autonomia delle forze sociali rispetto al Primo settore, ovvero lo Stato e le sue articolazioni.

Un’autonomia che non è tale perché di natura privata, come lasciava intendere la definizione di “privato sociale” proposta, a suo tempo, da Achille Ardigò per tutto il comparto del Terzo settore. La sfera pubblica cessa, invece, di essere dominio del solo Stato fino a consegnare al cittadino la possibilità di perseguire “l’interesse generale”, principio che fu poi definitivamente sancito con l’introduzione dell’art. 118 u.c. nella Costituzione.

Una prerogativa, questa, esercitata soprattutto dai cittadini nella forma associata e che, secondo Cotturri, meriterebbe di essere rafforzata da risorse economiche maggiori per quelle realtà che si occupano di beni comuni, oggi, a suo avviso, penalizzate rispetto a quelle impegnate nell’assistenza delle fasce deboli.

Se Cotturri ha ripercorso il cammino del volontariato cogliendolo, soprattutto, nel rapporto con le istituzioni pubbliche, è spettato a Giuseppe Lumia mettere quel percorso in relazione con la politica. Un rapporto che, con la nascita del MoViI,  Tavazza, volle il più stretto possibile: il volontariato doveva esprimere una sua rappresentanza diretta.

Questa fu la parola d’ordine con la quale si chiuse  ”Volontariato e partiti politici”, il grande convegno di Amalfi del 1989: divenendo così, un soggetto attraverso il quale perseguire la riforma della politica, dall’interno.

Un pezzo di storia che Lumia conosce bene, essendo stato prima presidente del Movi nazionale e poi Deputato e Senatore.

La Seconda Repubblica aveva, però, in serbo le sue insidie: è in questa fase che cominciano a prevalere quelle “scorciatoie dell’Io”, che anteporranno logiche individualistiche a quel “Noi” che Luciano aveva perseguito, soprattutto nel Mezzogiorno.

Ma ad ogni generazione spetta il compito di rispondere ad una sfida, ha continuato Lumia.

UN’EREDITÀ DA RACCOGLIERE. A questa il compito di ripartire da quel “Noi”, ripensato ed attualizzato sui temi della contemporaneità: una globalizzazione delle forze economiche e finanziarie che sembrano depotenziare, ogni giorno di più, la politica; da qui, la necessità, e l’opportunità, offerta dall’avanzamento del cammino europeo, fino a giungere ad immaginare la nascita degli Stati Uniti d’Europa.

Raccogliere il testimone lasciato da Tavazza non significa solo ripartire dai suoi principi e dai suoi valori, ma anche osservare ed apprenderne le strategie.

Uno dei fondatori del Censis, Giuseppe De Rita, ne fa un ritratto più inedito, mettendo in evidenza quello che chiama il “genio organizzativo” di Luciano. È questo talento a fargli intravedere la grande riserva di generosità presente nei 5mila partecipanti al Convegno passato alla storia come il convegno “Sui mali di Roma”: una quantità di “fili d’erba” che aspettano solo di essere raccolti ed organizzati.

E’ ciò che intuisce, nel 1974, Tavazza e che, con gli anni di lungo lavoro successivi, gli consentirà di associare alla “solidarietà corta”, a cui il volontariato è vocato per natura, quella “solidarietà lunga”, che rappresenta lo sviluppo e la crescita del volontariato consapevole e ”politico”.

E poiché ciò avvenne in anni in cui la tecnologia informatica non era ancora strumento di lavoro e comunicazione, tutto ciò che fu necessario fare, lo si fece senza l’aiuto (oggi impensabile) di mail, Skype e social.

Questo richiese una febbrile attività di riunioni “in giro per l’Italia, ad incontrare persone, gruppi radicati nei territori e impegnati a scrivere pagine di solidarietà e di giustizia sociale”, come ricorda Paolo Romano.

Molte di queste pagine, Tavazza le scrisse anche fisicamente, ma, naturalmente, con i soli strumenti consentiti all’epoca: la penna o la macchina da scrivere.

Da qui, una grande mole di carte e documenti che solo in parte hanno sedimentato in pubblicazioni. Tutto il resto, o la gran parte del resto, è stato raccolto, catalogato e reso disponibile nel sito: www.lucianotavazza.it

Un piccolo tesoro nel quale è custodita una grande eredità che aspetta di essere trasferita ai giovani “fili d’erba” di oggi.

Francesca Amadori

10-05-2018 – Riforma Del Terzo Settore, Roma

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